Un poeta, Elio Pecora, che risponde a tutti gli interrogativi sull’esistenza e sull’esistente. È come se una voce struggente e intima ci chiarisse la stagione contraddittoria e piena di attese che attraversiamo con molti timori e un malcelato disagio. Lucidi e consapevoli dei nostri limiti, noi uomini quando abbandoneremo “le risibili superbie”?
Qual è il contributo che oggi la poesia offre alla società?
La parola ritrovata nella sua nudità e necessità, la parola che educa ai sentimenti, che annienta la chiacchiera, che si pone nella giornata come una mappa sicura.
Il sistema culturale italiano è fatto di poteri e di istituzioni. Rispecchia la società in cui si trova?
Negli anni Settanta si parlava di pubblico della poesia, si organizzavano festival all’aperto.
Il nostro è un tempo di grandi cambiamenti. Veniamo da anni in cui sono state abbattute regole ed autorità, ma da tante parti si va riflettendo su quanto della sregolatezza passata per liberatoria sia invece caos e negazione. Lo stesso pubblico dei poeti, così come lo identificarono Cordelli e Berardinelli, s’è ristretto. Sono molto cresciuti di numero gli autori di versi che scrivono piuttosto che leggere.
Nelle pagine dei quotidiani ormai quella culturale è sempre più striminzita. Per quale motivo?
Quotidiani, settimanali, riviste, per lo straordinario incremento dei nuovi mezzi di comunicazione, vanno ogni giorno di più impoverendosi di lettori e, dunque, di quelle collaborazioni che ne significavano l’impegno culturale… Pure non va trascurata la qualità critica presente in alcune riviste “on-line”.
Da dove viene l’immortalità?
Dalla presunzione dell’uomo, dalla sua avidità. Essere eterni, farsi uguali al Dio del giardino, durare per sempre. Mancanza di misura, compiacimento di un io che si piace così tanto da pretendere di abitare il sempre.
La poesia nasce nelle giornate del mondo e va a situarsi in un altrove in cui le parole, anche e soprattutto in quanto riescono solo ad accennare, attendono chi sa coglierne la necessità, la qualità, la segretezza.
Elio Pecora
Crede nella creatività?
Credo che ognuno si porti dentro un demone, inquieto e instancabile. Si tratta di riconoscerlo, di ascoltarlo. Dipende da talenti e da strumenti. A ciascuno i suoi. Ci sono Michelangelo, la Dickinson, Einstein e ci sono il giardiniere, la donna che ricama, il bambino che disegna un albero o un uccello.
Che cosa rende la vita motivo di letteratura?
La sua complessità, i suoi intrichi, la sua straordinaria e instancabile mutevolezza, il suo bisogno inestinguibile di felicità, e per tutto la sua continua voglia di specchiarsi, di svelarsi e di rivelarsi.
La poesia è un elemento della vita oppure è una porta che si apre verso una dimensione in parte ignota?
La poesia nasce nelle giornate del mondo e va a situarsi in un altrove in cui le parole, anche e soprattutto in quanto riescono solo ad accennare, attendono chi sa coglierne la necessità, la qualità, la segretezza.
Che cosa le ha insegnato la poesia?
Ad essere quel che sono: fedele a me stesso, soggetto e testimone dello stare e del restare, insieme ebbro e ragionante, in perenne interrogazione di me stesso e del mondo in cui mi aggiro.
È stato più volte e autorevolmente affermato che la scrittura è di per sé la più spietata e onesta ed efficace delle analisi. Che altro fa la scrittura se non trovare le parole che liberano, che accendono luci nel buio? Quanto al Narciso, varrebbe domandarsi: si getta nel fonte innamorato oppure deluso della propria immagine? Non dimentichiamo l’ambivalenza dei miti.
Qual è il punto di discrimine tra prosa e poesia?
La poesia chiede al lettore di rischiare tutto sé stesso conoscendosi e riconoscendosi nella parola che lo chiama, che lo significa. Da ciò il numero limitato di lettori disposti al rischio e al riconoscimento. Da ciò la concentrazione e la compressione, la cadenza della voce e la risonanza interiore.
Le scuole di scrittura insegnano a scrivere o a cancellare lo stile personale? Non sarebbe opportuno oggi sostituire alle scuole di scrittura le scuole di lettura?
Di sicuro la sostituzione sarebbe non solo opportuna, ma urgente.
Esiste ancora la retorica?
In abbondanza se ci limitiamo ai dibattiti televisivi, al linguaggio della pubblicità e a quello elettorale. Se ci riferiamo alla retorica come arte del dire, mi pare quasi del tutto assente.
Esistono ancora i retori?
Non mancano intellettuali che danno prova di loquacità largamente ornata, ma spesso rivolta a un pubblico incredulo e disattento.
Esiste ancora la tradizione letteraria?
Come ogni altro organismo quello letterario bisogna di nutrimenti, di modelli, di confronti e questi derivano, in parte notevole, dalle opere che il passato, per qualità e durata, ci consegna.

Esistono i maestri?
Sono poco visibili e udibili a causa del rumore sovrastante e, prima ancora, per la sordità o l’inerzia di chi ne teme la presenza e il confronto.
Un fiore?
Da ragazzo sul mio tavolo, in un bicchiere, tenevo un mazzetto di anemoni. Passo la mia estate in un giardino dove primeggiano dalie e ortensie.
Uno scatto fotografico…
Troppe fotografie con telefonini. Tanti momenti, anche in una sola ora, in cui l’occhio s’innamora di un gesto, di un oggetto.
Un’opera artistica…
La Madonna dei pellegrini di Caravaggio, La donna alla finestra di Hopper, Il fanciullo di Mozia di Fabrizio Clerici.
Che cosa porterebbe con sé in un’isola deserta?
Le metamorfosi di Ovidio, i Racconti di Cechov, lo Zibaldone di Leopardi.
Libri di cui consiglia la lettura?
Ho letto molto, fin dall’infanzia, e so da tempo quali nuovi e inattesi piaceri vengono dalle riletture.
Il testo di saggistica più interessante che ha letto recentemente.
Scomposizioni di Remo Bodei.
Che cosa avrebbe voluto realizzare nella vita?
Ho imparato presto a tenermi lontano dai “sogni” e a ritenere che noi siamo quel che riusciamo a fare. Dunque sono non più di quel che ho fatto.
Un suo desiderio, un sogno…
Uscire dalla vita non lasciando disordine: è chiedere troppo?
Il suo ideale di uomo, di umanità…
Il Cristo del discorso della montagna, il Socrate che è, come spiega la Arendt, il più sapiente degli uomini perché sa che la sapienza non è dell’uomo.
Esistono ancora le buone maniere?
Accade di goderne ancora: il ragazzo o la ragazza che si alzano in metropolitana per cederti il posto, il saluto del condomino al cancello d’ingresso, il postino che ti consegna sorridente la busta….
Che cosa è lo stile personale? Che cos’è lo stile personale nella poesia?
È l’esito di una lunga fatica: aver trovato la propria voce, la propria misura di essere e di manifestarsi; la propria riconoscibilità, venuta da confronti anche ardui, da solitudini anche sofferte.
Lei è una persona che ha lasciato un segno. Per che cosa lo ha fatto? E qual è il segno che ha lasciato?
Giovanissimo ho compiuto, più e meno oscuramente, una scelta: esprimere quel che mi innamorava e m’inquietava e che mi portava alla parola della poesia, significava una consegna, una condivisione. Che abbia lasciato un segno lo spero. Ma i segni vengono riconosciuti da altri e da cancellazioni e scancellazioni spesso imprevedibili. Può bastare, per credere di aver lasciato un segno, una persona appena conosciuta che dice a memoria un mio verso. O l’attenzione perfino entusiasta riservata da alcuni lettori al mio primo libro riedito dopo cinquant’anni. Ma il più mi viene da chi scrive e mostra di comprendere con quanta passione e rigore ho vissuto le mie giornate e scritto i miei libri.
Se potesse tornare indietro nel tempo che cosa modificherebbe nella sua vita?
L’unica nostalgia che conosco riguarda il tanto che è rimasto fuori della vita che pure ho vissuto senza limitazioni.
Cosa è stato il passato?
Continuo a interrogarlo, a ripercorrerlo. Dunque a vederlo meglio, a saperne di più. Un immenso repertorio di passaggi, di soste.
Come vede il futuro? Come lo immagina?
Il mio futuro è un bagaglio che va alleggerendosi. Il futuro, quello di tutti e che auguro a tutti, è un’età di crescite interiori, di consapevolezze nuove e aperte. Accadrà?
Come è cambiata l’Italia? E la sua gente? L’Italia è ancora il paese della moda e dello stile, dell’eleganza?
Ho sentito, ancora ragazzo (lo provano i miei primi scritti) di vivere in un tempo di vigilia. Erano gli anni cinquanta e si entrava in una nuova èra. Non un’epoca, un’èra. La macchina sostituiva il mulo e il carretto, nel televisore i continenti e le nazioni si apparentavano, il benessere appariscente e la quantità scomposta assurgevano a regole sovrastanti. Non si può parlare di cambiamenti, ma di mutamenti. In meglio, in peggio? In tanto altro: spesso inclassificabile. Moda, stile, eleganza! Li decide il mercato e ciascuno li segue come per un gioco obbligato e insensato. Resta l’Italia del passato millenario, delle arti e dei cieli cangianti, ma il prezzo da pagare alla bellezza è altissimo. Unico conforto, sapere che da alcuni (una folla, un gruppuscolo?) questo tempo è vissuto come un’età di resistenza, in attesa di una nuova ragione. E questo vale per l’Europa e per tutti i continenti.
Viviamo nell’epoca dell’intrattenimento? Insomma, questo mondo comincia ad annoiarci?
Non è noia, è vuoto, anche disperato e disperante. Dominano il rumore, il frastuono, dunque lo stordimento. Ripetiamo gli stessi gesti percorriamo le stesse strade, ci rechiamo nello stesso luogo di lavoro per tutti i giorni della nostra vita. Ci consoliamo dicendo che la felicità è nelle piccole cose…
Ma la “felicità” – e parlerei più di allegria e di contentezza, forse di gioia – che è solo e sempre un abbaglio, va cercata nelle “piccole cose”. Vale citare Leonardo da Vinci: “È meglio la piccola certezza che la grande bugia.” Andrebbero abbattuti sostantivi (e categorie) come “grandezza” e “potenza”. Leopardi delega al pastore, al povero pastore errante, le domande estreme, le più “alte”. Quando lasceremo le risibili superbie?
cover ph. © Dino Ignani

Elio Pecora
Nato a Sant’Arsenio (Salerno) nel 1936, dal 1966 vive a Roma. Ha pubblicato raccolte di poesie, racconti, romanzi, saggi critici, testi per il teatro, poesie per i bambini. Ha curato antologie di poesia italiana contemporanea. Dirige la rivista internazionale “Poeti e Poesia”. Ha collaborato per la critica letteraria a quotidiani, settimanali, riviste fra i quali: La Voce Repubblicana, La Stampa-Tuttolibri, Il Mattino, La Repubblica-Mercurio, Reporter, L’Espresso, Tempo Illustrato, Wimbledon, Strumenti critici, Belfagor e al secondo e terzo programma RAI. Nel gennaio del 1968 parte per la Germania, dove lavora a quello che sarà il suo primo libro: La chiave di vetro. Nell’autunno del ’68 torna a Roma, dove per qualche mese lavora nella galleria dello scultore Marotta, torna ogni pomeriggio come consulente nella libreria Bocca. Il suo primo libro circola dattiloscritto, partecipa al premio milanese L’inedito dove arriva finalista, viene pubblicato nell’autunno del 1970 dall’editore Cappelli: gli frutterà l’amicizia di Elsa Morante e l’attenzione di Pier Paolo Pasolini. Dagli anni Settanta agli ultimi anni novanta collabora a quotidiani e settimanali. A Roma, conosce e frequenta molte personalità della letteratura e delle arti. Fra questi, oltre a Juan Rodolfo Wilcock, è legato da forti amicizie ad Alberto Moravia, Elsa Morante, Aldo Palazzeschi, Sandro Penna, Dario Bellezza, Amelia Rosselli, Elsa De Giorgi, Francesca Sanvitale, a musicisti fra cui Goffredo Petrassi, Fabrizio De Rossi Re e Mauro Bortolotti, a pittori come Fabrizio Clerici, Carlo Cattaneo, Domenico Colantoni, a registi come Carlo Lizzani, a critici come Tullio Kezich, ad antropologi come Giancarlo Scoditti, Ida Magli, Luigi Lombardi Satriani. A molti di questi amici ha dedicato scritti critici e poesie (Letteratura come immaginazione; Dediche e bagatelle; Figure in Poesie 1975-1995). Collabora alla RAI (Dipartimento Scuola ed Educazione, Radio per gli Stranieri, Radio 2 e Radio 3), cura numerosi programmi fra i quali: Un libro, una regione; Il Sud nella letteratura italiana contemporanea; Le fiabe italiane nelle raccolte dell’800; Scrittori dimenticati o trascurati del Novecento Italiano; I poeti e il sogno; I poeti e il mattino; Scienza e letteratura; Le città e la musica: e con Mia Tannenbaum, La musica e la poesia in Italia dagli inizi al Novecento. Prima collaboratore, poi presidente dell’Unione Lettori Italiani, cura a Roma un numero fittissimo di presentazioni di libri e di autori negli Studi del Canova e nella Libreria Bibli.
Fra i premi ricevuti: Città di Enna per il romanzo; per la poesia: il Circe Sabaudia, il Matacotta, Il Calliope, il Premio Internazionale Le Muse, il Premio Venezia. Nel 2006 l’Università di Palermo, Facoltà di Scienze della Formazione, lo ha insignito della Laurea ad honorem in Scienze della Comunicazione. Nello stesso anno le Edizioni San Marco dei Giustiniani hanno pubblicato, a cura di Roberto Deidier, Geografie primaverili (poesie per Elio Pecora di quarantuno poeti italiani, da Antonella Anedda a Iolanda Insana, da Franco Loi a Valerio Magrelli). Una folta bibliografia critica è rinvenibile nel volume L’avventura di restare (Le scritture di Elio Pecora), a cura di Roberto Deidier, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova 2009. Tra i libri più recenti: Il libro degli amici (Neri Pozza, 2017), Rifrazioni (Mondadori 2018), il suo ventesimo libro di poesia, Firmino e altre poesie (Orecchio Acerbo, 2020), Roma e S. Arsenio (Edizioni Mondo Nuovo, 2021), Nell’aria del mattino (Edizioni del Bulino, 2021), Tre monologhi. Penna, Morante, Wilcock (Il ramo e la foglia, 2021), Nel dolce rumore della vita. Biografia di Sandro Penna (Neri Pozza, 2022).