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La tessitura del mondo in Isabella Ducrot

L’esperienza di Isabella Ducrot, artista tra le più notevoli in Italia, ci riferisce di una vocazione assoluta, di un daimon che si impadronisce di un corpo e lo guida nei sentieri della vita, a partire dall’esperienza di straniamento e di estasi della ragazza che, nel restare folgorata di fronte a un quadro di Simone Martini in cui si mostra il lembo di una fodera a scacchi, viene sospinta a iniziare un percorso di ricerca che la condurrà ad assegnare alla decorazione una dignità artistica, e riconoscerà nella manualità artigianale il senso della “discesa” nella terrestrità di cui parla James Hillman esponendo la sua teoria della “ghianda”. 

La sua personalità emana un fascino unico, di compiutezza, d’una pacificazione proveniente da un riconoscimento del proprio daimon, o angelo interiore…

Grazie delle Sue gentili parole, soprattutto della parola “compiutezza”, perché è vero che in questi tardi anni sperimento la possibilità di assaporare le cose della vita, certo non ne ero capace da giovane, qualcosa dunque ho raggiunto…

C’è anche una componente legata ai suoi frequenti viaggi, che l’hanno resa cosmopolita, cioè artista universale, in grado di dialogare col mondo, con ciò che altre terre custodiscono, nella luce, nei colori, nel ritmo dei suoni, delle lingue…

Si, viaggiare, specialmente in Oriente, è stata la mia personale accademia, ho appreso cose guardando, raccogliendo notizie che avevo cercato nelle pagine dei libri, ma senza grandi risultati.

C’è in tutto questo una predestinazione, crede nella Moira, nel fato oppure in un compito che l’angelo disceso in terra per incarnarsi deve compiere?

Si, credo abbastanza che le cose accadano senza informarci e noi non possiamo farci nulla.

Ci parli della sua vita, di come l’ha ricamata.

Non ho ricamato la vita, è la vita che ci ricama, così a me è capitato di nascere a Napoli, l’unico luogo al mondo in cui si vive come se si dovesse morire.

Nella sua opera che definirei una collezione di fondamentali strutture (organiche e della visione) si riassume una grandiosa simbologia della vita: la tessitura di cui è ordita, che appare come un insieme di fili intrecciati, illustrata in una tensione ideale rappresentata dagli ovali astratti, dai colori, molecole costitutive. L’esistenza può essere un raffinato disegno di bellezza, se viene appresa con una sensibilità e un’intelligenza sovrane. La materia è magia pura, ciò che a lei interessa.

Qui io l’ascolto volentieri perché dice delle belle cose.

Dove si trova a suo agio?

Oramai, solo nelle mura di casa, come uno scialle le mura mi proteggono, fresche d’estate, premurose d’inverno.

In quale corpo o elemento si reincarnerebbe?

Mah! Forse nel mio stesso vecchio corpo, magari un po’ modificato, i fianchi più stretti, le spalle meno squadrate e senza le lentiggini in faccia.

Le sue letture, le musiche, i suoi attori preferiti, un film che l’ha colpita.

Rivedo spesso, e sempre con la stessa trepidazione quel passo del film di Hitchcock “La prima moglie”, quando Laurence Olivier chiede all’umile dama di compagnia di una vecchia signora, di sposarlo.

Una tela che potrebbe essere deposta su un tavolo lei l’affigge su una parete, un atto straniante che rivela una strategia, l’esposizione di una forma che si considera scrittura testuale. È una materia che (si) veste, che si abbiglia, si addobba. Incorpora l’immagine – il tessuto diventa immagine – percezione di ciò che il manto nasconde, cioè la bellezza che in ogni tovaglia, fazzoletto, tela di tessuto viene incisa. La trama che precede la vita. Con la sua “collezione” parla di uno sguardo invisibile, di una nostalgia di ciò che non c’è, testimonianza di un esilio che l’anima incantata nell’artista denuncia e manifesta. Lei ha scritto un libretto particolarmente ispirato, “La stoffa a quadri”, in cui narra la sua vocazione, quando agli Uffizi notò la fodera quadrettata della veste del Messaggero nell’Annunciazione di Simone Martini, una rivelazione da sindrome di Stendhal…

La stoffa a quadri ha per me il merito di esibire sfacciatamente la propria struttura, il suo motivo decorativo e il proprio modo d’essere coincidono.

Isabella Ducrot

Isabella Ducrot è un’artista nata a Napoli nel 1931 e vive a Roma. Colleziona e studia tessuti provenienti da ogni parte del mondo, in virtù dei suoi lunghi viaggi in Asia – Turchia, India, Cina, Tibet e Afghanistan.
La sua prima fonte di ispirazione è proprio la trama di questi tessuti. Portandoli alla luce e stirandoli leggermente, la trama diventa visibile, rivelando l’architettura originale del materiale, composta da fili che si incrociano e vuoti. Ha fatto del tessuto a scacchi la sua firma, credendo fortemente nella sua forza espressiva, considerandolo un elemento formale indipendente e fine a se stesso. L’estrema nudità del motivo a scacchi offre all’artista infinite possibilità di intervento artistico.

L’installazione di grandi dimensioni Omaggio a Mishima (2016) ha fatto parte del settore Unlimited di Art Basel nel 2022. Tra le sue recenti mostre personali figurano San Giuseppe alle Scalze a Pontecorvo, Napoli (2021); Galerie Gisela Capitain, Colonia (2021); Galerie Mezzanin, Ginevra (2020); Capitain Petzel, Berlino (2019); Spazio Parlato, Palermo (2018). Nel 2014 ha tenuto una grande mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e nel 1993 e nel 2011 ha esposto alla Biennale di Venezia. Isabella Ducrot è anche autrice di numerose pubblicazioni, tra cui Women’s Life, 2021; La stoffa a quadri (tradotto e pubblicato anche in inglese come The Checkered Cloth), 2019; Suonno. Il sonno e il sogno nella canzone napoletana, 2012; Fallaste Corazón, 2012; Pensiero religioso ed elettricità, 2011; La Matassa Primordiale, 2008; e Bianca di Pelle, 1995.