Un pensiero unico, globale e banalizzato, retorico e scontato, un’insufficienza di fronte alle vicende, un disagio comune ci avvolgono, ci rendono inadatti a vivere il nostro presente. Silvano Petrosino rende profonda la nostra realtà, ci fa capire che uomini non si nasce, ma si diventa giorno per giorno. Il filosofo parla al cuore delle persone come pochi. È per questo che è seguito, amato, cercato: un maestro che fa luce tra le caligini che oscurano il nostro tempo.
Potrebbe sintetizzare la sua analisi filosofica sulla struttura dell’esperienza e sulla dinamica del vedere/guardare che sono oggetto dei suoi studi – Visione e desiderio. Sull’essenza dell’invidia; Lo stupore; Piccola metafisica della luce – ?
Tento di rispondere alla sua domanda in modo estremamente sintetico. L’uomo è un essere vivente e come ogni altro essere vivente obbedisce alle leggi della vita: nasce, cresce, si nutre, riposa, si riproduce, si ammala e infine perisce. Tuttavia l’uomo compie tutte queste azioni all’interno di un’esperienza che è abitata da paure, memorie, speranze, segni e sogni, ecc., vale a dire, per riprendere un’espressione di Cassirer, all’interno di una «aggrovigliata trama» che è il frutto anche dell’inconscio e del simbolico. In questo senso, ad esempio, l’uomo non si nutre mai semplicemente ma «investe» il cibo con sogni e paure, con fantasia e memoria (la torta della nonna), con un universo simbolico e valoriale che finisce per trasformare un semplice «piatto» in una vera e propria «opera». Questa identica complessità emerge con chiarezza all’interno della distinzione tra «vedere» e «guardare»; il primo è relativo all’impressione che le stimolazioni luminose producono sulla retina, il secondo è relativo all’espressione che il soggetto mette in atto rispetto alla realtà. Nel «guardare» il soggetto si prende cura di ciò che gli viene incontro, e questa cura è sempre relativa alla sua esperienza. In questo senso, per esempio, quando si afferma che una certa fotografia del fotografo Tizio è un’immagine di un albero bisogna intendere questo genitivo sia in senso oggettivo (ciò che è ritratto è un albero) che in senso soggettivo (questa fotografia è il frutto dello sguardo del fotografo Tizio, esprime la sua sensibilità e la sua personalità). Ecco perché ho parlato di una «metafisica della luce»: c’è una fisica della luce che analizza il «vedere» (l’ottica), ma per accostarsi al «guardare» è necessario andare al di là della fisica verso una «meta-fisica».
[...] A me sembra si debba riconoscere che il logos umano è un logos narrativo: il «percorso» dell’umano è inscindibile dal «discorso»; o in altre parole: è solo nelle parole che viene alla luce il modo d’essere di quell’essere vivente esclusivo che è l’uomo.
Silvano Petrosino
E chiarire le sue osservazioni contenute negli studi sulla natura del linguaggio umano e sul rapporto tra parola, scrittura e narrazione, in – L’esperienza della parola. Testo, moralità e scrittura, Le fiabe non raccontano favole. Credere nell’esperienza, Il magnifico segno. Comunicazione, esperienza, narrazione, Contro la cultura. La letteratura, per fortuna – ?
Quando ci si misura con l’esperienza umana non ci si può limitare al numero ma bisogna accedere alle lettere. Il numero non è in grado di leggere e interpretare l’esperienza umana. Se chiedo a qualcuno di dirmi quanto pesa, questi mi indica un numero, e questo numero esprime adeguatamente il peso di quella persona; ma se chiedo a questa stessa persona se crede in Dio oppure che cosa intende per amore o giustizia, questa persona inizia a parlare articolando un discorso che è irriducibile all’esattezza del numero. Tale esattezza è infatti muta rispetto all’esperienza umana la quale, per l’appunto, è aggrovigliata, flessibile, stratificata, mobile, in continuo movimento (il termine stesso «esperienza» allude ad un attraversamento, ad un percorso, ad un viaggio). In conclusione a me sembra si debba riconoscere che il logos umano è un logos narrativo: il «percorso» dell’umano è inscindibile dal «discorso»; o in altre parole: è solo nelle parole che viene alla luce il modo d’essere di quell’essere vivente esclusivo che è l’uomo.
Quale il contributo di Lévinas e di Derrida alla storia della filosofia? Come lei ne ha interpretato il pensiero ne – La verità nomade. Introduzione ad Emmanuel Lévinas, Jacques Derrida e la legge del possibile, Fondamento ed esasperazione. Saggi sul pensare di E. Lévinas, Jacques Derrida. Per un avvenire al di là del futuro, La scena umana. Grazie a Derrida e Lévinas, Emmanuel Lévinas. Le due sapienze –?
Questi filosofi, per come li ho letti e compresi, hanno contribuito a sviluppare una concezione non ingenua dell’essere umano, e questo è stato il dono più grande che ho tratto dalle loro riflessioni. Anche quando hanno criticato un certo antropocentrismo e una certa tradizione umanistica, è sempre in direzione della verità dell’uomo che il loro pensiero si è orientato. Come ha affermato Lévinas: «L’umanesimo deve essere denunciato solo perché non è sufficientemente umano».
Mi pare importante anche accennare a suoi studi d’argomento biblico: Il sacrificio sospeso. Lettera a un amico, seconda edizione con il titolo di Il sacrificio sospeso. Per sempre, Babele. Architettura, filosofia e linguaggio di un delirio, La prova della libertà, Cercare il vero. Beati quelli che costruiranno templi senza mura, Essere giusti col proprio desiderio ovvero Come diventare uomini, L’idolo. Teoria di una tentazione dalla Bibbia a Lacan, ecc.
Rispondo alla sua domanda con le parole che ho utilizzato in una precedente intervista. Quando penso alla Bibbia mi viene in mente la folgorante affermazione di A. Heschel: «La Bibbia è un’antropologia di Dio piuttosto che una teologia dell’uomo». Se così fosse, il testo biblico raccoglierebbe non le riflessioni, che spesso si trasformano in elucubrazioni, degli uomini a proposito di Dio, ma l’immagine o il sogno di Dio a proposito degli uomini: questo testo descriverebbe, proponendola al lettore, l’idea che Dio ha dell’uomo. Per il credente una simile antropologia è dunque ispirata da Dio: gli uomini avrebbero scritto le Sacre Scritture ispirati da Dio, in qualche modo sotto la Sua dettatura; sono tuttavia convinto che queste sorprendenti parole possano interessare ed interrogare anche il non credente e più in generale, utilizzando una bellissima formula, tutti gli uomini di «buona volontà». Ora, ciò che non cessa di stupirmi leggendo questo libro unico è il «realismo ad oltranza» (A. Artaud) del suo dettato, è l’assoluta concretezza delle sue parole, realismo e concretezza che accompagnano sia la denuncia degli orrori compiuti dagli uomini («Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi», Isaia, 5, 7), sia l’indicazione della via che invece si dovrebbe seguire («Dice il Signore: Praticate il diritto e la giustizia, liberate l’oppresso dalle mani dell’oppressore, non fate violenza e non opprimete il forestiero, l’orfano e la vedova, e non spargete sangue innocente in questo luogo», Geremia, 22, 3). Come è noto, è questo un tema sul quale Levinas è costantemente ritornato: «La Bibbia […] non è un libro che ci conduce vero il mistero di Dio, ma verso i compiti dell’uomo. Il monoteismo è un umanesimo»; «Nessuna dimensione verticale senza dimensione orizzontale. Giustizia – tappa incircoscrivibile di ogni elevazione […] Non c’è altro accesso alla salvezza oltre quello che passa attraverso la dimora degli uomini»; «Ma, seguire l’Altissimo, è anche sapere che niente è superiore all’avvicinamento al prossimo, alla preoccupazione per le sorti della “vedova e dell’orfano, dello straniero e del povero”, e che nessun avvicinamento compiuto a mani vuote è un avvicinamento. È sulla terra, tra gli uomini, che si svolge anche l’avventura dello Spirito». Per quanto mi riguarda, il «materialismo» della Bibbia mi ha costantemente aiutato a non confondere lo spirituale con lo spiritualismo e soprattutto lo spirito con lo spiritismo.
Lei è molto amato dai giovani, ma se devo essere sincero, anche dagli anziani come me. A che cosa deve questa ammirazione spontanea e devota alla sua persona e al suo pensiero?
Non sono io che posso rispondere a questa domanda. Le confesso, però, che resto sempre stupito quando dopo una conferenza o un incontro pubblico, cosi come al termine di un corso, qualcuno, il più delle volte a me del tutto sconosciuto, si avvicina e mi dice «grazie». Ciò che mi stupisce è che io non parlo di economia, di ambiente, di diritti degli animali, di discriminazioni razziali, insomma non parlo quasi mai dei temi d’attualità, eppure qualcuno si avvicina e si sente in dovere di dirmi grazie. Non so bene perché ma sono io che dico grazie a questo grazie del tutto libero e gratuito.

Silvano Petrosino
(Milano 1955), fin dalla laurea in filosofia nel 1978 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, si è dedicato allo studio della filosofia contemporanea, in particolare alla riflessione sull’opera di Edmund Husserl, Martin Heidegger e soprattutto al pensiero francese del dopoguerra, soffermandosi sugli scritti di Emmanuel Lévinas, Jacques Derrida e Jacques Lacan. Attraverso le sue traduzioni e monografie, ha introdotto in Italia il pensiero di Lévinas e Derrida. Nel 1985 ha intrapreso la carriera accademica, ricoprendo incarichi presso l’Università della Calabria e l’Università “Tor Vergata” di Roma. Nel 1997 ha iniziato il suo percorso di insegnamento presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore nelle sedi di Milano e Piacenza. Attualmente è professore ordinario presso l’università milanese, dove insegna Teorie della Comunicazione e Antropologia religiosa e media.