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L’intelligenza del cuore

Vivian Lamarque è la poetessa delle relazioni controverse, delle provocazioni e delle incredibili paradossali vicende che la parola, annodandosi con la verità, può far scaturire: le bombe nascoste del cuore, che esplodono salvandoci oppure umiliandoci, mortificandoci senza mai ucciderci.

Leggere i suoi testi è di una piacevolezza unica, per l’intelligenza spontanea, per la vivacità con cui ci colpiscono, per la freschezza, la giovinezza eterna che esibiscono, è mantenere vibranti le corde dei sentimenti che risuonano nel mondo di gioia e di leggerezza, per fondare nuove e più amichevoli civiltà.

Vivian, la sua voce è un sorso d’acqua fresca nel panorama della poesia italiana, sempre orientata al rispetto di canoni desueti o ai manifesti di movimenti e piccole scuole, come se fosse compito di pochi proseguire una tradizione illustre che vieta manifestazioni poetiche allotrie, individualismi, come se uno stile diverso e personale costituisse una pratica demoniaca, un atto di sfrontatezza anarchica da rigettare immediatamente, un atteggiamento che si è perpetuato soprattutto nei confronti delle poetesse…

Grazie mille, bello essere pensata come acqua fresca.

Come si è avvicinata alla poesia?

La poesia mi si è avvicinata quando avevo dieci anni. Stavo leggendo “Senza Famiglia” di Hector Malot, il capitolo “Le belle fasce hanno detto il vero”.

Interruppi la lettura e mi misi a cercare, a cercare per tutta la casa qualcosa, non sapevo cosa eppure la trovai: nascosti tra le lenzuola di un armadio, documenti che certificavano la mia avvenuta adozione e non solo: anche lettere del mio nonno E.C., Moderatore e Teologo della Chiesa Valdese, con le quali dava istruzioni circa le modalità del mio passaggio in quanto illegittima  da una madre (sua figlia) all’altra che mi avrebbe cresciuta (avevo nove mesi, il babbo adottivo morì quando avevo 4 anni).

Ormai sono passati secoli e non vorrei ogni volta riparlarne, i lettori non ne potranno più, ma a quella domanda non posso che rispondere così. Infatti fu in quei giorni, dopo lo spaesamento che seguì quella scoperta, che presi carta e penna per scrivere per la prima volta dei versi. Per mettere un po’ di nero su bianco? Per aggrapparmi a qualcosa? a un legnetto, il legnetto della matita.

Quali sono le fonti della sua scrittura?

Quindi le fonti della mia scrittura sono, diciamo, telluriche, risposta fisica al piccolo terremoto del 1956, inavvertito da tutti, limitato al mio domicilio di allora. Fonti letterarie furono invece le fiabe che nell’infanzia mi leggevo e rileggevo senza fine, fiabe che addirittura a volte con una matita rossa correggevo qua e là a mio piacere. Niente letture precoci dunque, ero una bambina che leggeva fiabe, niente di eccezionale. Se non quel giorno scoprire che una storia stava coincidendo con la mia vita. Questo creò nei decenni successivi parecchi equivoci e fraintendimenti nel profondo, quelli che mi condurranno dritta dritta all’analisi junghiana con il Dott. B. M., avevo 38 anni. Fu una rinascita.

Il suo talento si rivela in un’intelligenza straordinaria, capace di trovare sorpresa e di rovesciare la vicenda umana in qualcosa di impensabile o di vivacizzare la quotidianità in un atto che ne libera l’innocenza, la potenziale fede nell’ingenuità della semplicità o nella genuinità del diverso… La realtà è paradossale, da un momento all’altro la nostra inconsapevolezza, la nostra incoscienza di vivere ne vengono smascherate…

Intelligenza? Non credo. Vittorio Sereni parlò di “intelligenza del cuore”, altra cosa credo. Capacità di provare sorpresa sì, senz’altro, da quando apro gli occhi al mattino in poi (solo verso sera mi intontisco un po’, come una gallina). Anche di rovesciamenti sì, vero, sono campionessa, non pericolosi nella scrittura, anzi quasi salutari (mi riferisco con un po’ di orgoglio alle mie raccolte per l’infanzia “Mettete subito in disordine” e “Storielle al contrario” (Einaudi Ragazzi), rovesciamenti di situazioni e anche di linguaggio: ìs, on, aretecce, àpap, ammam, ìpip, us, iop ….).

Ma pericolosissimi nella vita (“….splendidissima regnava la vita immaginata / …. la realtà non c’era / era abdicata”; da “il Signore d’oro” ora tradotto anche in USA e UK.

Sì, per l’illuminazione del quotidiano sono una ENEL perfetta, nei miei versi ho illuminato via via negli anni, bicchieri, minestre, ferri da stiro, pomodori dell’orto, condomini e millesimi condominiali ecc. ecc. ecc. fino al rosa delle flebo e l’oro dell’urina nella sezione Poesie Ospedaliere dell’ultima raccolta, qui sotto.

L’ultima raccolta “Madre d’inverno” (Lo Specchio Mondadori, 2016) è stato accolto, menomale, molto bene dalla critica. Ogni volta quanto temo il rifiuto. Tocca vari temi ed è anche un po’ il saluto, l’addio, alle due madri: a quella vera (cioè l’adottiva) e a quella biologica (madre l’altra), entrambe mancate:

SCIARE
(alla neve)

Una sciava al Tonale, l’altra a Pragelato
neve cadeva su una madre e neve anche
sull’altra. Poi come neve al sole svanita
una madre e come neve al sole l’altra
mi era rimasta solo lei, la neve, ma
si è surriscaldato il pianeta e proprio
come fanno le madri, sei svanita
anche tu, non ti si vede quasi più.

da “Madre d’inverno” (Mondadori, 2016)

Come assiste alle trasformazioni sociali odierne così rapide e che cosa ne pensa? Berardinelli afferma che la nostra è una società di non individui. Le manca un testimone come Pasolini?

Sono sempre tutt’occhi e orecchie. Registro tutto. A volte nel mio piccolo intervengo ma soprattutto tutto confluisce prima o poi nella mia poesia, come in un fiume tanti affluenti. Quanto a Pasolini, ogni volta che qualcosa di grave accade mi domando cosa avrebbe pensato cosa avrebbe scritto, molto mi manca, moltissimo.

Qual è il dono a cui è più affezionata? E quello che ha fatto?

Parole gentili, ascolto profondo. Provo tanta gratitudine per chi ne ha per me. E anch’io so ridarne in grande dose, non mi costa fatica, è nella mia natura farlo.

Quali film, quale opera teatrale, quale romanzo eleggerebbe quale amico inseparabile?

Non in assoluto, ma tra i preferiti un film del ’56, Le ballon rouge, di Lamorisse; il teatro di Kantor; L’Idiota di Dostojevski.

C’è un sentiero che vorrebbe aprire, che oggi le appare chiuso, nella società come nella sua vita?

Una strada di bontà, parola ormai impronunciabile, come impronunciabile l’aggettivo buono. Fa niente, li uso lo stesso.  Proprio il Principe Minski, citato qui sopra nella domanda precedente, diceva “ho bisogno di persone buone”. 

Il meridiano Mondadori a lei dedicato la consacra nell’olimpo della poesia italiana.

Mi confonde con qualcun altro…. Non mi faccia montare la testa. Alla mia opera fu dedicato nel 2002 un Oscar – e ne sono felice – non un Meridiano! Col titolo “Poesie 1972-2002” raccoglieva integralmente i miei primi cinque libri e molti inediti (confluiti poi nei libri successivi). Con la bellissima prefazione di Rossana Dedola.

cover ph. © Serena Campanini

Vivian Lamarque

Nasce nel 1946 a Tesero (Trento), da madre valdese. Vissuta a Cavalese fino all’età di 9 mesi, viene poi adottata da una famiglia cattolica a Milano. Lamarque è il cognome coniugale. Ha insegnato italiano agli stranieri e letteratura in istituti privati. Ha pubblicato: “Teresino” (1981), “Il signore d’oro” (1986 e 2020, tradotto in lingua inglese nel 2017), “Poesie dando del lei” (1989), “Il signore degli spaventati” (1992), “Una quieta polvere” (1996),  “Poesie 1972-2002” (Oscar Mondadori), “Poesie per un gatto” (2007),  “La Gentilèssa” (2009), “Madre d’inverno” (2016), “L’amore da vecchia” (2022). Numerosi  premi, dal Viareggio Opera Prima (1981) al Bagutta (2017). È anche autrice di una quarantina di fiabe, tradotte in varie lingue, a partire da La bambina che mangiava i lupi. E di una serie di fiabe musicali tratte da opere di Mozart, Schumann, Ciaikovskij, Prokofiev, ecc. (Premio Rodari  1997, Andersen 2000, Storia di Natale 2015). Per l’infanzia ha anche pubblicato Poesie di ghiaccio e Poesie della notte.
Ha tradotto Prévert, Baudelaire, Valéry, La Fontaine. Nel 2013 è uscito “Gentilmente Milano”, selezione dei suoi articoli sul Corriere della Sera al quale collabora dal 1996.