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Sanguemisto. Intervista a Gabriela Wiener

Sanguemisto è un libro con tante anime: il memoir, l’autobiografia, il reportage narrativo, saldati da uno humour che aiuta a stemperare le tinte più drammatiche.

L’autrice peruviana Gabriela Weiner ripercorre la storia di due continenti: l’Europa e l’America. Predominio, colonizzazione, stigma, sono livelli stratificati ancora oggi nel nostro immaginario, e sono spesso condensati sotto forma di discriminazione.

Sanguemisto è la storia di un antenato “scomodo”. Charles Wiener è il trisavolo bianco di Gabriela. Esploratore instancabile e ambizioso avventuriero Wiener è un “narratore fluido”, ma anche il prototipo dell’antropologo fin de siècle che incarna il modello di supremazia eurocentrico. Tra le sue massime: “Nei peruviani l’imbecillità artificiale del corpo andava di pari passo con l’effettiva imbecillità dell’anima”.

Nel 1876 Wiener ottiene dal governo francese il mandato a svolgere ricerche archeologiche ed etnografiche che sarebbero culminate in una grande mostra nell’ambito dell’Esposizione Universale di Parigi del 1878. Una mostra in cui esaltare il progresso della civiltà occidentale, e con essa la spoliazione di diverse antiche civiltà. Wiener è un huaquero, un tombarolo diremmo noi, alla ricerca di celebrità.

“La sua vera preoccupazione – scrive la Wiener – fu sempre quella di garantire l’efficacia del suo racconto e la costruzione della sua leggenda personale, questioni che scorrevano in parallelo verso la vittoria della nazione che rappresentava.”

L’analisi del passato familiare, però, aprirà le porte ad altre domande: sulla propria identità, sul proprio corpo “colonizzato” al centro di relazioni poliamorose, sulle proprie ferite e su sensi di colpa mai sanati.

Gabriela Wiener in un momento dell'incontro a Più Libri Più Liberi lo scorso 10 dicembre, insieme al traduttore Pietro Cecioni

Cosa sono gli huacos? Perchè ti hanno colpito così profondamente e hai deciso di dedicare all’argomento il titolo del tuo libro (l’edizione originale ha come titolo Huacos retratos)

Gli huacos sono pezzi di arte precolombiana di ceramica o argilla che appartengono a molte culture, compresa quella Inca. Possono essere figure di animali, o anche oggetti. C’è n’è uno che appartiene alla cultura della costa del nord del Perù e all’arte mochica, che sono i cosiddetti “Huacos Retratos”. Sono rappresentazioni del volto andino molto realistiche. In Perù chi saccheggia gli “huacos” viene chiamato “Huaquero”, saccheggiatore. Definisco così Charles Wiener, un esploratore inviato dalla Francia per fare un viaggio di ricerca in Perù che sarebbe poi culminato con la Grande Esposizione Universale di Parigi, con tutti gli huacos saccheggiati a tutti gli effetti in Perù, a fianco degli zoo umani.
Si suppone che io discenda da questo Charles Wiener, o almeno questo è ciò che mi ha detto la mia famiglia, con grande orgoglio. Tra l’altro è molto strano discendere da qualcuno che somiglia a Freud. Bianco, barbuto, con i suoi ritratti nella grande sala. Era la celebrità della famiglia, un paradosso che mi interessava approfondire. Avere questo volto indigeno, ma un cognome euro-bianco. Non solo era euro-bianco ma per di più mi “sbiancava”, mi garantiva una certa protezione. Perchè la cara de huaco, la “faccia da huaco” non te la perdonano in Perù, è un insulto.

Per esempio, quando andavamo con la scuola in gita nei musei dove c’erano i huacos c’erano i compagni bulli che ti prendevano in giro: “faccia di huaco, faccia di huaco”. Puro razzismo. Che rende impossibile riconoscersi in qualcosa della quale hai il volto.

Perchè cercare di diluire la contraddizione, perchè cercare l’autenticità, la pace, il meticciato? Inoltre, se Carlos Wiener era il bastardo di Charles Wiener, tutta la mia famiglia è la sua bastarda, tutta la mia famiglia è la figlia dell’altra.

Gabriela Wiener

Perchè definisci Charles Wiener “il troll di un’intera generazione”?

Hai letto l’epigrafe del libro? “Nei peruviani l’imbecillità artificiale del corpo andava di pari passo con l’effettiva imbecillità dell’anima”. Sembra un tweet di qualche troll (ride). Nel libro ci sono molte boutade, molta ironia, che è spesso un’arma utilizzata dagli oppressi verso il potere, che tende a ridicolizzare. È anche parte della mia strategia narrativa, un modo per innestare nella contemporaneità termini come troll, hater, quello che aveva fatto Charles Wiener.
Nella pratica, poi, Charles Wiener ammirava tantissimo il vecchio e antico Perù, l’impero Inca, ma non era uno scienziato, e dai suoi colleghi contemporanei non era considerato un ricercatore, ma era considerato più come un romanziere, uno che inventava tanto. Questo in effetti è un aspetto che mi piace molto di Charles Wiener. Aveva inventato anche una storia di sè stesso.
Nel mio libro c’è una ribellione, una denuncia della sua finzione attraverso la mia.
Tra l’altro, questa stima di Charles Weiner nei confronti del vecchio impero Inca, in realtà si innestava su un altro processo. Ovvero quello di hablar pestes, di dire il più male possibile della Spagna, e lodare invece la Francia.
Lui si era naturalizzato francese, era stata la Francia a mandarlo in America Latina per questa spedizione, in quel momento ovviamente tra Spagna e Francia (siamo nel periodo della Grande Esposizione Universale, illuminismo, etc) la Francia stava tentando di restituire lustro, anche se in modo completamente sbagliato, a quella che era la cultura Inca in quel periodo.
Conclusione? Roba di bianchi. Non solo roba di bianchi, ma dimostrare chi ce l’ha più lungo, praticamente, tra i francesi e gli spagnoli. Problemi loro, e noi in mezzo a questa loro disputa.

Si è parlato diffusamente durante la presentazione qui a Più Libri Più Liberi e nel tuo libro del museo come luogo di potere e di supremazia della cultura occidentale. A quale futuro pensi per questa istituzione, che negli ultimi anni, complice il periodo pandemico ha dovuto ripensare sè stesso e il suo ruolo?

Al momento penso che questi cambiamenti siano molto timidi. Non hanno molte idee su come farlo. D’altra parte lo fanno i bianchi. I direttori sono europei o bianchi, in America Latina sono bianchi. Dovrebbero azzerare tutto, cambiarli e connetterli con la vita della comunità. Niente cimiteri, niente luoghi di conservazione. Non c’è niente di più conservatore di un museo.
Adesso stanno iniziando a mettere quote razzializzate all’interno delle istituzioni oppure a fare eventi intersezionali, e con questo pensano di aver risolto il problema. No! Rinuncia al tuo lavoro, dallo a me!

ph. bio © Daniel Mordzinsk
Traduzione: Gianluca Cataldo
Voce: Daniela Ricciardi

Gabriela Wiener

Scrittrice e giornalista peruviana, è una delle nuove voci del giornalismo narrativo. I suoi primi articoli sono apparsi sulla rivista peruviana Etiqueta Negra. Ha scritto anche per il quotidiano El País e le riviste Esquire, Orsai e Internazionale. Attualmente vive a Madrid dove lavora come caporedattrice di Marie Claire. Ha pubblicato due libri Corpo a corpo e Nueve lunas e una raccolta di poesie Cosas que deja la gente cuando se va.